01 agosto 2005

LECCORNIE MICRONESIA

Pesce a parte – soprattutto tonno, tutti i giorni e a tutte le ore – una delle poche vere leccornie locali a Pohnpei sono i crostacei. Gli enormi granchi delle mangrovie sono infatti una vera delizia, talmente ricchi di polpa che è difficile riuscire a mangiarne uno intero da soli.
Ogni scusa naturalmente è buona per cuocere un paio di granchi e quando la cara Ryan è venuta a trovarci in maggio non ci siamo fatti sfuggire l’occasione. Scesi tutti e quattro al porto un sabato mattina, ne eravamo usciti con un enorme pezzo di tonno fresco e tre granchi. Al mercatino del pesce i crostacei stavano immersi nell’acqua fredda, le chele legate strette strette con dei grossi elastici. Naturalmente erano vivi – si sa che i crostacei andrebbero mantenuti tali fino al momento della cottura – ma poichè io non provo alcun entusiasmo al pensiero di una sessione di lotta libera con esseri armati di chele in grado di tranciare un dito di netto, avevo incaricato i tipi della pescheria di dare loro il colpo di grazia.
Era stato quindi con enorme sorpresa che una volta tornati a casa avevo scoperto che il nostro pranzo non era per niente deceduto, e anzi girava indisturbato per il bagagliaio della mia auto dopo aver rotto gli elastici. La mia prima reazione era stato di rimettermi al volante e tornare al mercato ma, con mia grande sorpresa, la mano di Ryan si era sollevata in un gesto infastidito e lei aveva dichiarato che non ce n’era per niente bisogno. Ora, Ryan è una vegetariana convinta da anni (anche se mangia pesce) che adora gli animali, piange ad ogni pubblicità con dei cuccioli e non farebbe male ad una mosca. Ma avevo dimenticato che è nata e cresciuta a pochi chilometri dalla Chesapeake Bay, l’enorme baia vicino a Washington, famosa in tutti gli Stati Uniti per i buonissimi granchi. Dichiarando di aver partecipato a centinaia di cene casalinghe a base di granchio sin da quando era in fasce, Ryan era entrata in casa con piglio sicuro per uscirne dopo pochi secondi con il coltello più grande che abbiamo, una roba in superacciaio inossidabile lungo trenta centimetri e spesso mezzo che usiamo forse due volte l’anno. Noi tre eravamo rimasti a guardare dapprima perplessi, poi affascinati, mentre quella che avevamo sempre considerato un innocuo angelo biondo con fare autoritario rovesciava i granchi, sollevava la parte triangolare della corazza che sta sotto e piantava il coltello nel mezzo – metodo unico e infallibile per farli fuori.
Beh, più o meno, perchè i granchi non ci pensavano per niente ad arrendersi senza combattere. Come tre moschettieri dei tropici avevano tentato la fuga a colpi di chele e a velocità decisamente sostenuta, mentre noi tre ‘micronesiani’ saltellavamo come donzelle puritane e la ‘newyorkese’ riusciva a tenerli tutti sotto controllo e a parlare con Sebastian contemporaneamente. In un momento di distrazione uno dei granchi era persino riuscito ad afferrare la sua gonna e a tirarla con forza verso il basso, ma Ryan l’aveva steso con un manrovescio.
Quando i poveri erano poi passati a miglior vita, Ryan li aveva aperti, ripuliti delle parti non commestibili e messi in un vassoio pronti per la cuoca (io), dimostrando coi fatti che l’affermazione di essere cresciuta mangiando granchi non era una palla. Era stato però la scelta del metodo di cottura ad aprire un antipatico dibattito. Io volevo bollirli come avevo sempre fatto, ma Matt continuava a sostenere che poichè il nostro amico Daniel la settimana precedente li aveva cucinati in forno dopo averli infilati in sacchetti del pane con un misterioso miscuglio di spezie – e ne erano usciti buonissimi – io avrei dovuto fare lo stesso. A parte il fatto che non ho mai visto un sacchetto del pane da quando sono qui, le mie più che ovvie domande si erano scontrate con un muro di perplessità. (Che spezie? Come un miscuglio di roba rossa... E a quant’era il forno? Certo che mi serve saperlo... Perchè? Lasciamo perdere... Per quanto tempo? Certo che fa la differenza!!!) Devo precisare che Matt è un degustatore di cibi decisamente raffinato, ma non sa bollire l’acqua per il te’ e le necessità dei cuochi lo lasciano sempre allibito. Per lui avermi detto del sacchetto, delle spezie e del forno equivaleva ad aver rivelato una formula magica. Il fatto che io non fossi in grado di ripetere il capolavoro lo lasciava completamente allibito. Alla fine lo avevo cacciato dalla cucina e avevo optato per un metodo misto: scottati in acqua bollente per 5 minuti e passati in forno per 15 i granchioni ne erano usciti fantastici. Noi tre ci avevamo impiegato almeno un’ora e mezza di lenta e paziente opera a ripulirli di tutta la fantastica polpa. Che dire, ogni tanto anche il cibo in Micronesia può essere fantastico. Soprattutto se c’è nei paraggi una temeraria come Ryan!

Lezione n.1: Come fare fuori un granchio gigante.

Lezione n.2: Non perdere mai l�occasione di insegnare qualcosa al piccolo di casa.